Viaggio negli Stati Uniti, 2017

Da non molto sono tornato dagli Stati Uniti, dove ho trascorso un periodo di due mesi e mezzo, ed ecco quindi alcune impressioni che ho avuto da questo viaggio.

Ho passato gran parte del tempo sulla costa ovest, soprattutto nell’area di Los Angeles (California), ma ho visitato anche Las Vegas (Nevada), New Orleans (Louisiana), e ci è scappato anche qualche giorno in Baja California, che fa parte del Messico.

Prima di scrivere in dettaglio dei vari posti ci tengo a fare una considerazione generale, e cioè che ancora una volta mi sono reso conto di quanto viaggiare per il mondo sia infinitamente più educativo che andare a scuola o all’università! Ho visto così tanti posti nuovi, parlato con tante persone nuove che ragionano e si comportano in maniera “differente”, e ogni volta pensavo “davvero interessante” e “scoprire tutto questo è incredibilmente più utile del mare di inutilità studiate sui banchi per anni e anni!”.

Inevitabilmente metterò a confronto quello ho visto con il mondo a cui sono abituato, cioè l’Italia (soprattutto) e la Spagna, che sono i due paesi in cui vivo la maggior parte del tempo.

California

Dell’area di Los Angeles ho avuto davvero una prospettiva fortunata, essendo stato in parte ospite di un amico che vive fuori città, sulle montagne dietro Santa Monica, e in parte ospite di un’amica che vive in città, nel quartiere Sherman Oaks. Iniziamo con le montagne.

Santa Monica mountains. Un po’ a sorpresa, considerando quelle che avrebbero potuto essere le aspettative per un viaggio a Los Angeles, il carattere principale e più bello di questo periodo è stata sicuramente la natura. Ho vissuto immerso in un parco naturale, in una posizione davvero unica a un’ora dal centro città, a venti minuti dalla famosa spiaggia di Malibu, e soprattutto a due minuti di cammino da una quantità incredibile di animali selvatici.

Essendo cresciuto parzialmente in campagna di animali ne ho visto tanti nella mia vita, per cui non è facile impressionarmi. Eppure qui parliamo proprio di un altro ordine di grandezza. La mattina uscivo presto per una passeggiata tra i sentieri, e tempo pochi minuti dopo aver lasciato casa iniziavo a vedere un numero straordinario di animali. Mi ha fatto venire in mente quanto ho sentito dire da alcune persone anziane, cioè che “un tempo” si vedevano molti più animali nei giardini e nelle campagne: probabilmente era così che doveva essere un po’ dappertutto a quei tempi, pensavo camminando.

Oltre ad essere tanti, gli animali mi hanno affascinato per il tipo: avevano forme e colori che non avevo mai visto prima. Anche gli animali più comuni erano comunque un po’ diversi rispetto a quelli delle mie zone. Ad esempio le lucertole “semplici”: in California tendono ad essere più grandi, più scure, con squame pronunciate. Poi naturalmente c’erano le lucertole ben meno “semplici”: ne ho vista una con la coda azzurra (!) e più volte ho avvistato la simpaticissima lucertola cornuta, che si è meritata un video personale:

Tra gli animali selvatici che ho incontrato sulle montagne di Santa Monica ci sono: conigli (tantissimi), rane, tartarughe, serpenti, procioni, quaglie, aironi, nitticore, picchio, coyote, scoiattoli “normali” e di terra, anatre “normali” e dal becco azzurro, folaghe, grackle, colibrì, lince, cervo, banchi di centinaia di baby-pesci gatto, nuvole di farfalle. Nella mia passeggiata tipica tra i sentieri vedevo una selezione di animali appartenenti a 5/6 di queste specie, più molti altri mai visti prima a cui non so associare un nome, a meno di usare una lunga descrizione (soprattutto per gli uccelli e gli insetti).

Ecco un mini-documentario che ho prodotto in questo periodo:

Nel video sono riuscito a inserire solo una parte degli animali che ho visto. Molti altri avrei voluto inserirli ma erano troppo difficili da filmare, o perché troppo mobili (ad esempio il colibrì che si spostava in continuazione) o perché troppo timidi e scappavano velocemente. Questa “timidezza” in realtà l’ho notata in tutti gli animali della zona, e immagino dipenda dal fatto che l’ambiente fosse estremamente competitivo (tradotto: stai sempre in guardia o verrai mangiato).

Dal video si vede anche un po’ com’è la vegetazione della zona: pochissimi alberi alti o boschi, ci sono invece quasi esclusivamente arbusti bassi e adatti al clima secco. Tantissime le piante di salvia (che mi piaceva annusare continuamente durante le mie passeggiate).

Malibu. Prima di arrivare a Los Angeles città, qualche nota su Malibu. Questa è l’area costiera famosa per essere la residenza di tantissime celebrità di Hollywood, dove le case costano (tanti) milioni di dollari. In teoria questa dovrebbe essere una delle aree con più alta domanda non solo di Los Angeles, ma al mondo.

Per questo motivo mi è sembrato strano che, almeno nelle volte in cui ho camminato sulla spiaggia, buona parte di quelle case favolose sembrassero vuote. Pulite e in ordine, ma vuote. Terrazze con nessuno a prendere il sole, al massimo solo una domestica a fare le pulizie. Anche sulla spiaggia antistante c’erano relativamente poche persone a camminare o a fare il bagno. L’oceano era praticamente deserto, senza navi. Strano. Dov’erano gli yacht, i milionari a discutere di affari davanti a un drink, le mogli plastificate in spiaggia a discutere di gossip e a ridere di quanto siano fessi i poveri, i figli privilegiati a farsi i selfie con gli amici, le attrici a spasso coi micro-cani ridicoli?

Possibile che tutte quelle celebrità abbiano una tale etica lavorativa da non concedersi di oziare nelle loro residenze, al contrario di me, sfaccendato in mezzo alla settimana a passeggiare per Malibu? La spiegazione che ho trovato è che in realtà, seppure incredibile da pensare, forse quelle case favolose non siano altro che seconde case per i proprietari super ricchi. Proprietari che non erano lì semplicemente perché stavano in altre delle loro case, o magari erano in viaggio per il mondo.

Un’altro motivo comunque potrebbe essere che la spiaggia di Malibu è brutta. Questa potrebbe sembrare un’affermazione un po’ forte, eppure è proprio l’impressione che ho avuto. Non solo Malibu, estendo questa valutazione a tutte le aree costiere e le spiagge intorno Los Angeles che ho visto: l’oceano non era affatto attraente. L’acqua non era azzurra, ma ovunque un po’ torbida e poco trasparente. Spesso nell’aria c’era una foschia che rendeva l’atmosfera grigia. Quasi mai sono riuscito a vedere in lontananza la linea di separazione netta tra oceano e cielo: era sempre un passaggio sfumato e grigiastro.

Le spiagge non rivelavano tracce di vita: non ho visto pesci nell’acqua (a parte delfini in lontananza). Zero conchiglie sulla sabbia. Davvero uno strano contrasto rispetto al gran numero di animali sulle montagne, a poca distanza. Nessuna struttura dove comprare qualcosa, nemmeno un chiosco minuscolo per comprare almeno da bere. L’oceano come scritto sopra non da certo l’impressione di essere “animato”: pochissime le barche a vela o i motoscafi. Non pervenuti affatto pescherecci, navi da crociera o grosse navi da cargo. Gli unici a cui ho visto “usare” l’oceano sono i surfisti -quelli si- ma anche loro addensati solo in specifiche aree (ad esempio intorno Adamson House).

Una persona del posto mi ha spiegato che questo clima grigio e nebbioso delle spiagge dipende dalla geografia della costa pacifica ed è limitato allo specifico periodo in cui l’ho vista io (aprile – maggio – giugno). Secondo lui grigiore e foschia spariscono subito dopo, e in estate la spiaggia è molto più piacevole per prendere il sole e nuotare. Forse è così.

Los Angeles. La mia impressione di Los Angeles è probabilmente condizionata dall’aver speso più tempo nelle aree migliori, eppure una cosa è certa: il livello generale di ricchezza è enorme. Si vede dalle case lussuose, dalle automobili giganti, dall’aspetto delle persone: ben vestite, ben rasate, ben curate. Nella mia visita al quartiere Beverly Hills ero certo (e divertito) di essere sul podio dei peggio vestiti dell’intera strada. Nel quartiere Venice ho visto un manifesto con una promessa di ricompensa di 20.000 dollari per un gatto smarrito, e credo che non fosse uno scherzo.

Su cosa si basa l’economia di Los Angeles? Oltre alla ovvia quantità di persone legate all’intrattenimento e a Hollywood, ho trovato che un numero sorprendente di persone lavora nel settore immobiliare. Praticamente tutti quelli a cui ho chiesto “cosa fai” mi hanno risposto agente immobiliare, o qualcosa relativo alla compravendita di case. A quanto pare il mercato delle case in città scotta: ho sentito che una proprietà messa sul mercato viene venduta spesso nel giro di una settimana, e questo nonostante i prezzi siano sempre nell’ordine dei milioni.

Che tipo di negozi popolano le strade? A confermare la ricchezza della città si vedono in effetti saloni benessere e palestre per yoga. C’è una selva pazzesca di ristoranti di ogni tipo, in competizione feroce tra loro. Curiosamente ho notato diversi negozi di servizi “psichici”, qualcosa che certo non si vede in Europa, dove invece ci pensano le molte più chiese a catalizzare il desiderio di spiritualità delle persone. Una cosa peculiare (e comica) sono i tantissimi cartelloni stradali con foto di avvocati dallo sguardo risoluto, che offrono assistenza per casi di incidenti stradali o infortuni vari. Sembra proprio che gli Stati Uniti siano sovraffollati da legali a caccia di casi facili, per ottenere risarcimenti di ogni tipo.

Credo comunque che proprio a Los Angeles viva un numero particolarmente alto di imprenditori, autonomi, investitori, aspiranti attori, artisti, o gente che non lavora affatto. In queste categorie rientrano infatti quasi tutte le persone con cui ho chiacchierato. Nelle strade della città le uniche persone che si notano a fare un lavoro “visibile” sono gli operai messicani, che quà e la curano i giardini dei ricchi o fanno ristrutturazioni edilizie. In effetti non ho visto un solo operaio in giro che non fosse messicano.

Proprio il fatto che molte persone non abbiano un lavoro impiegatizio rende un mistero il traffico pazzesco sulle strade della città, per cui Los Angeles ho scoperto essere “famosa”. Io stesso sono rimasto bloccato nell’ingorgo per ore e ore. Però guardavo quel fiume di macchine intorno a me e mi chiedevo: dove sta andando tutta questa gente? Perché si spostano? La congestione è perenne e spesso anche in orari inspiegabili, come in tarda mattinata.

Un paio di note sulle persone di Los Angeles e dintorni, visto proprio che in quest’area ho chiacchierato più spesso con la gente del posto, ed è qui che ho speso gran parte del tempo.

Forse sono stato fortunato, ma ho conosciuto parecchie persone dalle storie interessanti e piacevoli con cui conversare. Naturalmente vivere nella ricchezza rende più facile essere rilassati e bendisposti, eppure mi ha colpito come la gente in generale sembrasse ben adattata alla società. Vedere la gente muoversi così agevolmente tra belle case, bei quartieri e bei negozi mi è sembrato quasi… strano. Dov’era il tormento? Dov’erano le facce preoccupate del mio paesino d’origine in Italia? Dov’era la disfunzione? Quasi chiunque mi salutava con parole gentili e sembrava genuinamente bendisposto. Quando conversavo con le persone, non rilevavo tutto quel pessimismo cronico e quella negatività che invece rilevo spesso parlando con le persone del mio paesino.

Sono sicuro che anche a Los Angeles, in fondo, le persone hanno i loro rodimenti e i loro problemi, eppure in generale ho notato davvero un’ottima interfaccia sociale nella gente. La mia idea in effetti è che “i ricchi” spesso non siano ricchi per caso, ma lo siano proprio per la mentalità che hanno e per il modo di fare le cose. Invece di lamentarsi soltanto usando la tipica formula italiana (“fa tutto schifo – sono tutti corrotti – non ti lasciano fare niente”), a Los Angeles credo che la formula sia invece “vediamo un po’ che tipo di business potrebbe funzionare oggi”. C’è certamente una mentalità più possibilistica e molto più spirito di iniziativa che in Italia.

La crisi di Hollywood. Non è certo un mistero che Hollywood stia attraversando una crisi fortissima, di ricavi ma soprattutto di idee. Di questo in effetti me ne ero accorto già a casa, visto che ormai da anni molti film che arrivano nelle sale sono spazzatura totale: cliché visti e rivisti, vecchi film “rifatti” e riproposti come nuovi, film senza nessuna trama riempiti solo con ammazzamenti e paure, film trascinati in avanti con i “sequel” o indietro con i “prequel”. Produrre qualcosa di nuovo… proprio no eh?

In effetti io ho smesso quasi del tutto di andare al cinema: troppe volte mi sono sentito insultato dal dover pagare sia per vedere film così brutti, sia per dovermi sorbire 20 minuti di pubblicità prima del film stesso. Capita solo raramente che ancora che finisca in una sala, se la proposta parte da qualche amico, e in tal caso il mio approccio è diffidente ma possibilistico: “mah diamo un’occhiata, magari è il caso di riaggiornare la mia valutazione su Hollywood…”. No, ogni volta la valutazione si rinnova: i film che arrivano nelle sale sono ancora spazzatura. Ultima conferma dal film Life con gli attori Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds, che ho avuto il dispiacere di vedere: se fossi un attore famoso nessuna cifra potrebbe convincermi a prendere parte a una simile porcheria.

Comunque tornando a Los Angeles, ero curioso di cercare tracce della crisi proprio nella patria stessa del cinema, e le ho viste. A confermare la completa mancanza di idee, sui manifesti della città venivano pubblicizzati: il film degli emoticon (sul serio?), il film dei puffi (un cartone animato che guardavo da bambino 30 anni fa), l’ennesimo episodio dei Pirati dei Caraibi con la faccia stanca di Johnny Depp, il secondo episodio dei Guardiani della Galassia, e soprattutto molte pubblicità non più di film ma di serie di fiction on-demand, che la gente guarda privatamente a casa, anziché nei cinema.

Non è capitato in questo mio viaggio, ma sarei stato dannatamente curioso di chiacchierare con qualche produttore o attore di Hollywood, per scoprire se confermavano la mia impressione: cioè che i produttori cinematografici a questo punto sono diventati estremamente selettivi nello scegliere quali film produrre, visto che molti film ormai guadagnano briciole rispetto a un tempo, e anzi parecchi causano proprio delle perdite (i cosiddetti “box office bombs”). Per cui non investono più in rischiose novità, ma si fidano solo a riciclare cose che già hanno funzionato in passato. Un esempio è il martellamento continuo sui film con supereroi.

C’è poi un secondo grosso dubbio con cui sono arrivato in California, sperando trovare lumi, ma che invece mi sono riportato a casa perché nessuno mi ha dato una spiegazione convincente. Il dubbio riguarda la reazione così estrema e avversa che Hollywood ha verso l’attuale presidente Donald Trump. Che la California e Hollywood in particolare siano di orientamento liberale lo capisco, eppure questo secondo me non basta a spiegare il livello di oltraggio così alto, proprio nello specifico di Hollywood. Quasi tutti gli attori fanno fiamme contro Trump nelle interviste, sui social media. Un livello di avversione troppo forte per essere spiegato solo dal fatto che “Hollywood è liberale”. Ci deve essere qualche aspetto che mi sfugge, economico o chissà, che probabilmente una persona che sta dentro Hollywood potrebbe spiegarmi meglio.

In realtà in questo periodo a Los Angeles mi è capitato di avvistare un paio di attori famosi, ma non li ho disturbati. Questo è successo nel caffè Starbucks del quartiere Sherman Oaks, dove mi piaceva andare a prendere il caffè la mattina. Il piacere derivava dalla passeggiata che facevo per arrivarci e per l’occasione di studiare la clientela, non certo per il caffè stesso. Ecco infatti a seguire alcuni miei pensieri sul caffè.

Caffè. Gli americani non hanno la minima idea di cosa “caffè” significhi. Cioè la filosofia stessa del caffè che hanno, da italiano non posso che definirla sbagliata e da combattere con tutte le forze! 🙂

In Italia se entri in un bar e chiedi “un caffè” la transazione è semplice e efficiente: il barista ti mette davanti un espresso senza troppe domande, e tu paghi circa 1 euro. Facile. A Los Angeles quando chiedevo “un caffè” negli Starbucks mi facevano strane domande: se volessi la miscela calda o fredda, che livello di tostatura, quanti “shot” ci volevo, se era da portare via. Ogni volta non ci capivamo e finivo per ottenere un caffè diverso a un prezzo diverso (sempre troppo alto). Il fatto è che Starbucks ha dozzine di opzioni sul menù, apparentemente tutte che hanno qualcosa a che fare col caffè, ma nessuna decente. Sono tutti intrugli di caffeina, additivi chimici e zucchero.

C’è comunque una situazione interessante proprio riguardo questa famosa catena di caffetterie, che spiega perché ha avuto tanto successo: ha semplicemente trovato una gigantesca nicchia di mercato scoperta. Una voragine. Strano a pensarci, ma in molte aree degli Stati Uniti praticamente non esistevano i bar prima di Starbucks. C’erano cioè pochissimi locali che corrispondessero (seppure vagamente) a quello che è il bar italiano, ossia un posto dove andare di giorno semplicemente per un caffè, per socializzare o per leggere il giornale. Prima negli Stati Uniti c’erano più che altro solo ristoranti, locali dove fare pasti completi come pranzo e cena. Questa spiegazione me l’ha fornita l’amico di Santa Monica e mi è sembrata molto valida.

Certo Starbucks il concetto di bar l’ha reinterpretato un po’ a modo suo, producendo una “creatura” di cui alcuni aspetti sono sicuramente discutibili (il caffè stesso appunto), ma evidentemente ha trovato una formula che negli Stati Uniti funziona bene, e non solo lì. C’è tra l’altro un paio di differenze positive rispetto ai bar italiani, cioè non vengono vendute né sigarette né lotterie. Proprio il fatto che le sigarette non siano così facili da trovare ovunque nei bar, come invece avviene in Italia, contribuisce al fatto che un numero straordinariamente ridotto di persone fumino negli Stati Uniti. Questo in aggiunta, immagino, a una campagna di demonizzazione del fumo che probabilmente è andata avanti negli ultimi anni.

Naturalmente, oltre a Starbucks per le strade ci sono anche bar indipendenti, che non appartengono alla catena. Sono stato in diversi sia a Los Angeles che nelle altre tappe di questo viaggio. La cosa strana però è che molti di questi indipendenti non mi sono sembrati granché interessati a competere col colosso. Mi è capitato di entrare in bar che non avevano il caffè (“non ce l’abbiamo, lo facciamo solo in inverno”… eh?) o che l’avevano già “finito” dopo pranzo (), o che chiudevano completamente -i bar stessi- alle tre del pomeriggio, cioè proprio quando uno vuole barare con la caffeina contro l’abbiocco pomeridiano. Davvero bizzarro.

Ancora oggi comunque, tra i tanti Starbucks e i bar indipendenti sparsi qua e là, mi è sembrato che ci siano ancora grosse aree del paese scoperte. Più di una volta con i miei amici abbiamo dovuto guidare per un bel pezzo, consultando la mappa sul telefono, a caccia di un bar dove fare una pausa caffè.

Cibo. Per quanto riguarda i supermercati. Naturalmente non speravo di trovare cibo con l’alto livello di qualità e freschezza che si trova in molti supermercati italiani, però ho trovato che tutto sommato spendendo tanti soldi a Los Angeles si riesce a portare a casa una spesa discreta. Il che rientra bene nel quadro di questa città, in cui gli abitanti sono più ricchi e più attenti alla salute che nella media degli Stati Uniti.

Frutta e verdura di buona qualità si trovano abbastanza facilmente, anche biologici. Il problema però c’è ed è nei cibi di origine animale, cioè formaggi, pesce e carne: quasi niente è fresco. Un po’ di pesce si vede ma sembra sempre di qualche giorno. Tra i formaggi la scelta è molto limitata, e quelli di qualità migliore sono tutti importati e davvero costosi. Il pane fresco, quello che per noi italiani è il “filone”, non esiste proprio, solo scaffali di pane confezionato e spesso con additivi chimici. Tra le particolarità dei supermercati, al confronto con quelli italiani e spagnoli, ho notato sezioni enormi di integratori alimentari e pillole di ogni tipo, e cassieri più gentili e professionali. Naturalmente la gentilezza dei cassieri fa parte dell’interfaccia lavorativa, ma è comunque piacevole da trovare.

Per quanto riguarda i ristoranti invece, dove in questo periodo sono andato molto più spesso del solito (che è quasi mai). Come detto a Los Angeles ci sono ristoranti con cucine di tutto il mondo. Ho provato alcuni nuovi piatti interessanti, soprattutto della cucina asiatica. Però ho anche realizzato che, più che in Europa, nel cibo dei ristoranti ci possano essere additivi pericolosi e della cui presenza è difficile sapere, visto che non ci sono etichette dettagliate da consultare.

Ad esempio, una volta sul menu di un ristorante ho visto l’indicazione “senza glutammato di sodio” su un piatto, che mi ha fatto chiedere: ma quindi in tutti gli altri cibi in cui questa indicazione non c’è… il glutammato qui ce lo possono mettere tranquillamente? Dopo questo episodio ho alzato il livello di guardia, eppure nonostante ciò, più avanti in questo viaggio (quando ero in Louisiana in realtà) mi sono distratto comunque e ho commesso un grave errore: ho condito il mio cibo con una salsa di cui solo successivamente mi è venuto in mente di controllare l’etichetta. Tra i vari “ingredienti” che avevo mandato giù c’era l’alluminio…

Una differenza netta con i ristoranti italiani e spagnoli: il servizio è molto veloce ovunque. Quasi sempre ti siedi a un tavolo, e subito arriva il cameriere con i menu e per prendere gli ordini delle bevande. Pochi minuti per consultare il menu, e il cameriere è già di ritorno con le bevande e per prendere gli ordini del cibo. Tutto si svolge così rapidamente che spesso ho dovuto chiedere tempo supplementare per scegliere, più di una volta. La meccanica è esattamente opposta a quella di Italia e Spagna, dove invece nei ristoranti spesso ci vuole un’eternità prima di essere serviti.

Una cosa strana che succede nei ristoranti americani è che i camerieri passano in continuazione durante il pasto per chiedere se “va tutto bene?”. Una volta o due sarebbe anche ok, un segno di premura gradito, ma a volte è successo anche 4-5 volte durante lo stesso pranzo e la scena si è fatta francamente ridicola. Mi chiedo se negli Stati Uniti i ristoranti, che come scrivevo sopra sono in un settore ferocemente competitivo, dipendano moltissimo dalla reputazione online costruita con le recensioni dei clienti, per cui hanno sviluppato quasi una sorta di terrore di ricevere giudizi negativi.

Ultima nota, che è un fatto risaputo: le mance. Ogni volta che si mangia in un ristorante bisogna stare a perdere tempo per calcolare le percentuali. Un meccanismo davvero inefficiente che hanno negli Stati Uniti, e che fortunatamente non è diffuso in Italia e Spagna. Certo teoricamente le mance incoraggiano un miglior servizio, ma questo non giustifica davvero la perdita di tempo. Oltretutto a contribuire a rallentare la fase del pagamento, ho fatto caso che le banconote americane hanno tutte un colore simile (un beige/giallo smorto), per cui è difficile distinguere un pezzo da 1, 5 o 10 dollari senza analizzarle. Strano che ogni pezzo non abbia un colore diverso.

Agricoltura. La California mi è sembrata avere un clima davvero favorevole per l’agricoltura, ma questo potenziale l’ho visto sfruttato solo minimamente: pochissimi i campi coltivati e pochissimi gli orti vicino le case. Ho visto parecchie viti, il vino lo fanno senz’altro, ma ad esempio non ho visto quasi per niente gli ulivi, che a occhio direi crescerebbero bene da queste parti.

Mi è sembrato comunque che molti californiani siano concentrati a fare “landscaping” nei loro giardini ma solo per motivi estetici, piantando in effetti molti bei fiori ed alberi ornamentali, ma che invece non siano affatto concentrati a piantare frutta e verdura vicino casa, che preferiscono comprare nei supermercati, a caro prezzo e di importazione. Davanti le case ho notato che spesso non piantano nemmeno il minimo indispensabile, come almeno un vaso con le erbe per cucinare.

Nevada

Las Vegas. Las Vegas è come uno se la aspetterebbe: la folla, le luci, i casinò. Decisamente interessante da vedere una volta nella vita, ma certo non l’agitazione in mezzo a cui vorrei vivere a lungo termine. Questo vale per il centro comunque, ci sono aree periferiche e residenziali della città in cui sono sicuro che si possa fare una vita più “normale”. Arrivando in macchina, già dalle prime occhiate ho visto che il livello di ricchezza generale di Las Vegas è certamente più basso di quello di Los Angeles.

La cosa più interessante dei casinò è stato notare come tutto sia studiato scientificamente per mungere al massimo i visitatori. Il tipico casinò (io sono stato all’Excalibur) non è una struttura a sè stante bensì una combinazione: un grattacielo al cui piano terra c’è l’effettivo casinò e ai cui piani superiori c’è l’hotel. Per cui gli ospiti dell’hotel sono costretti ad attraversare le sale da gioco per entrare o uscire dall’hotel.

Il piano terra dove si gioca è grande, labirintico e volutamente carente di indicazioni, perdersi è facile e si finisce sempre a spendere più tempo tra le slot machines e i tavoli da gioco. Non ci sono orologi alle pareti a ricordarti che il tempo passa. Se ti siedi a un tavolo da gioco (io l’ho fatto a un tavolo di blackjack dove ho perso 20 dollari) passano periodicamente delle cameriere a offrirti drink gratuiti. Naturalmente essere un po’ alticci fa perdere le inibizioni e aiuta a scommettere un po’ di più.

Un’altro fatto che ho notato è che l’hotel in cui sono stato aveva decisamente un prezzo basso considerato l’ottimo livello delle camere. Anche qui ci ho visto una furbizia: attraggono i visitatori rendendo abbordabile la permamenza in albergo, perché sanno che poi i soldi veri gli ospiti li lasceranno nel casinò, dove avviene la parte effettiva della mungitura.

Sia nei casinò che per le strade di Las Vegas, ho notato una differenza nell’aspetto delle persone rispetto a Los Angeles. Qui ho cominciato a vedere più persone con pance, qua e là obese, e in generale non più così ben curate. Come mi aveva anticipato uno dei miei amici, con cui avevo commentato la buona forma delle persone a Los Angeles: “non ti preoccupare, a Las Vegas vedrai persone molto più tipicamente americane”. Nonostante questo, anche a Las Vegas continuava a valere il fatto meraviglioso visto nell’area di Los Angeles: quasi nessuno fumava sigarette.

Steve Pavlina. Durante la mia visita a Las Vegas ho avuto la fortuna di incontrare Steve Pavlina, un blogger che risiede proprio in questa città e che ha accettato il mio invito per un caffè e una chiacchierata. Il caffè in realtà l’ho bevuto solo io e gli amici che erano con me, Steve aveva iniziato da pochi giorni un digiuno di sola acqua, che ha poi protratto fino a 40 giorni (!).

Per me è stata davvero un’occasione speciale, Steve è un uomo brillante e il suo lavoro mi è stato utilissimo negli anni, infatti l’ho ringraziato sentitamente. Lui è senz’altro una delle persone che più hanno influenzato la mia filosofia di vita, e in effetti il fatto stesso di essere lì, di potermi permettere di viaggiare negli Stati Uniti per un periodo lungo mesi, è venuto anche dall’aver messo in pratica le sue idee sul reddito passivo. Il suo popolare articolo “10 ragioni per non avere un lavoro” è stato un contributo fondamentale a farmi realizzare che il mio lavoro impiegatizio di qualche anno fa era una totale pagliacciata, e in effetti ormai non passa giorno che non benedica la decisione di averlo silurato.

Ci sono anche un altro paio di aspetti che mi hanno reso felice di questa chiacchierata. Il primo è che ero assolutamente a mio agio nella conversazione, una conquista considerato che questo è proprio il tipo di eventi che a volte mi rendono ansioso, fino addirittura ad avere uno dei miei proverbiali attacchi di panico. Il secondo è che anche un altro degli amici seduti al tavolo apparteneva a quel “club” di persone per me speciali, che mi hanno ispirato e aiutato molto nella vita. Sapete il detto “circondati di persone più intelligenti di te”? Ecco seduto al tavolo con questi due, che avevo riunito io stesso, ho pensato sorridendo: “è proprio quello che sto facendo adesso, si sto facendo le cose bene!”.

Louisiana

New Orleans. Davvero interessante vedere New Orleans e la Louisiana dopo aver speso parecchio tempo a Los Angeles. Il contrasto è stato forte: sono passato da una delle aree più ricche del paese a una delle più povere.

Le caratteristiche per cui New Orleans è famosa le ignoravo (quasi sempre viaggio verso destinazioni su cui mi informo pochissimo in precedenza) e le ho scoperte solo una volta arrivato sul posto: ad esempio che la città è rinomata per la musica dal vivo, l’arte, la cucina creola, l’architettura particolare. Non sapevo nemmeno che una percentuale così alta degli abitanti fosse composta da neri. Immagino che molti siano discendenti degli schiavi che un tempo lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero. Le piantagioni esistono ancora e le ho viste attraversando la Louisiana in macchina.

Varie cose mi hanno colpito. Decisamente un cambio drastico nell’aspetto della gente. Molte più persone seriamente obese, e purtroppo un numero impressionante di persone con problemi fisici, storture, zoppicanti o su sedia a rotelle, soprattutto tra i neri. Un bel po’ di persone ubriache in strada e dall’aspetto per niente lucido. Credo che sia facile a New Orleans “farsi prendere” dal tema dei pub, dei ristoranti, la musica jazz da ascoltare con una birra davanti, le parate, la vita “da artista” tatuato che fuma e usa qualche droga, e molti finiscano per subirne gli effetti sulla salute fisica e mentale. Un altro fattore comunque è sicuramente la dieta.

La Lousiana è uno degli stati più ciccioni degli Stati Uniti e si vede. Un paio di volte ho preso nota che dentro il ristorante io e i miei amici eravamo gli unici clienti non grassi. In effetti la cucina della Louisiana sarà famosa, ma con me francamente è stata un disastro. La riassumerei così: tutto fritto. C’è il pesce ma è soprattutto pesce di bassa qualità: gamberi che sospetto provenire quasi tutti da allevamenti, crawfish (simili ai gamberi) che oltre a generarmi lo stesso sospetto quando li mangi devi buttare via il 90% del corpo, il pesce gatto che è un pesce di fondale. Per un quasi-vegetariano come me c’è la combinazione “riso bianco e fagioli”, non proprio qualcosa che andrei a chiedere al ristorante ma che avrebbe almeno potuto riempirmi, però ho scoperto presto che i fagioli venivano cucinati in stufati “gumbo” con carni di chissà quale provenienza. Certo poi c’è altro: la “Jambalaya” che è un misto stracotto di riso verdure e carne, una polenta chiamata “grits”, e per i turisti il panino con l’alligatore. Niente comunque che sembrasse non dannoso per la salute. Tra le poche eccezioni forse le ostriche.

Anche i supermercati mi hanno dato parecchie indicazioni. Innanzitutto sembravano davvero pochi: interi quartieri ne erano del tutto privi. Tra quelli che ho visto molti contenevano la parola “dollar” nel nome: family dollar, dollar general, dollar tree, a segnalare chiaramente l’intenzione di rivolgersi a una clientela che di dollari non ne ha molti da spendere. Tra gli scaffali una tristezza: prodotti confezionati, impacchettati, additivi chimici, quasi niente fresco. Frutta e verdura biologiche un lontano miraggio, almeno a Los Angeles spendendo una fortuna si trovavano. Mi sono ritrovato a comprare acqua confezionata venduta in quei flaconi di plastica alla cui forma noi italiani associamo la candeggina e i detersivi. E il sapore stesso dell’acqua era cattivo. Davvero.

Sono un po’ critico anche per quanto riguarda la scena musicale e artistica di New Orleans. La mia impressione è che il jazz sia nato da queste parti, ma poi si sia un po’ perso per strada. Molta della musica dal vivo mi è sembrata appunto il risultato di alcol, fumo e fritti: poca ispirazione e parecchio rumore. Molte band per strada non suonavano altro che “cover” di canzoni già esistenti, peggiorate rispetto all’originale (anche qui, produrre qualcosa di nuovo… proprio no eh?). La reputazione artistica della città si riferisce più che altro a mercatini di antiquariato, oggetti di decorazione, scelte di abbigliamento meno convenzionali delle persone. Sicuramente è interessante da vedere, ma non risuona troppo con il mio concetto di “arte”.

Una cosa che ho apprezzato di New Orleans però è l’architettura, molti quartieri sono davvero carini. La tipica casa è una casa “shotgun”, lunga e stretta, di legno, con tinte pastello. Sotto i tetti ci sono dei capitelli di legno con ricci e motivi floreali (“brackets”), e già solo quelli abbelliscono le case di tantissimo. Parecchi edifici comunque sembravano aver bisogno di una sistemata, soprattutto di una tinteggiatura. Questo è un business che credo funzionerebbe bene a New Orleans, dove in generale ho notato un numero particolarmente basso di negozi o attività commerciali di qualunque tipo (a meno dei negozi legati al turismo in centro).

Sono stato anche nella zona colpita dall’uragano Katrina nel 2005, ma non ho visto segni evidenti del passaggio dell’uragano. C’erano però parecchi lotti di terreno vuoti. Immagino che ormai dopo tanti anni le macerie che c’erano da rimuovere siano state rimosse, e molta gente si sia spostata.

Altre zone. Ho avuto l’occasione di vedere anche altre zone della Louisiana, spostandomi in macchina. Il paesaggio è senz’altro particolare: tutto piatto, con una costa molto frastagliata, paludi, sotto un sole cocente e con una forte umidità. In effetti il mio livello di energia fisica nelle due settimane di permanenza è precipitato rispetto al normale.

Nelle campagne e sulla costa le case presentavano una novità rispetto a quelle di New Orleans città: parecchie erano sopraelevate, su palafitte alte anche parecchi metri. Chiaramente per evitare le inondazioni. Molte comunque sembravano inutilizzate. Ho visto le antiche case padronali delle piantagioni, ormai quasi tutte trasformate in musei. L’agricoltura dello stato sembra continuare a consistere solo e esclusivamente in canna da zucchero: non ho visto altro piantato da nessuna parte. Dovrebbero esserci risaie da qualche parte, considerato sia il territorio favorevole che la forte presenza di riso nella cucina locale, ma io non le ho viste. Qua e la ho notato dei grossi stabilimenti industriali, credo che fossero raffinerie di petrolio.

Una delle cose più interessanti è stata vedere le paludi, un altro scenario naturale molto diverso sia da quello di casa, sia da quello visto in California e Nevada. Nelle paludi ho visto per la prima volta gli alligatori liberi, immobili sui tronchi o sul bagnasciuga, in attesa di prede. Strano in effetti ritrovarmi con questi animali, “teoricamente” pericolosi, mischiati così con naturalezza nel mio stesso paesaggio. Quelli che ho visto comunque erano relativamente piccoli, ho avvistato anche dei baby alligatori molto carini. Credo però che sott’acqua potessero esserci stati alligatori grandi, lunghi qualche metro, di quelli che una persona tutto sommato se la mangerebbero pure. Non mi sono tuffato per verificare.

In auto con i miei amici abbiamo guidato lungo la costa verso est, fino a vedere anche un pezzetto dello stato di Mississippi. Anche da queste parti l’oceano (in questo caso l’affaccio è sul Golfo del Messico) mi è sembrato francamente “brutto” e un po’ triste, seppure aveva un certo fascino malinconico. Solo una distesa di sabbia bianca sotto il sole cocente, niente arbusti, niente conchiglie, niente pesci, niente barche. Quasi nessuna persona in spiaggia. Strano.

Baja California

Per pochi giorni ho sperimentato anche un pezzettino di Messico, cioè la penisola di Baja California che sta poco sotto Los Angeles. Decisamente un altro gran bel contrasto.

Avevo in mente questa sciocca immagine del paesetto messicano in collina, i signori coi baffoni a suonare la chitarra, altri abbioccati sotto il cappello sombrero a fare la siesta, le ragazze more con le gonne colorate, i bambini che giocano, i sorrisi, i cactus. Non è proprio quello che ho visto. Naturalmente mi aspettavo che il Messico non stesse “ben messo” come gli Stati Uniti, ma non pensavo che se la passassero male come ho visto. Francamente, pensavo stessero un po’ meglio.

Tijuana. Sicuramente a contribuire a questa impressione è stata Tijuana, la prima città messicana che si incontra subito appena varcato il confine. Solo pochi chilometri sopra c’è San Diego, che fa ancora parte degli Stati Uniti e appare ricca e ordinata, pochi chilometri sotto c’è Tijuana, che fa già parte del Messico, e si presenta come un intrico di baracche, favelas, traffico disordinato, macchine scassate, mendicanti. Il cambio di scenario è davvero drastico e improvviso.

La mia visione di Tijuana comunque è avvenuta solo di passaggio, dalla macchina. Non ci siamo fermati, anche perché chiunque in California era stato concorde nel dire che “non è sicura. Magari ci vai e non ci sono problemi, ma meglio soggiornare da altre parti”. Non credo comunque che Tijuana rappresenti la tipica cittadina messicana, probabilmente è un po’ “peggio” per la posizione geografica, proprio al confine con gli Stati Uniti, che immagino l’abbia resa un crocevia per traffici di vario tipo, tra cui sicuramente la droga.

Ensenada. Questo è un paesino costiero dove ho passato tre giorni, e già Ensenada mi è sembrata decisamente un posto tranquillo e sicuro. Ha una certa vocazione turistica, considerati i negozi di souvenir e i ristoranti, anche se in effetti di turisti americani non ne ho visti molti. Considerati i prezzi bassi, la costa non male, e che è a portata di mano per i californiani, potrebbero essercene di più, ma forse effettivamente non si fidano comunque a venire neanche qui.

A Ensenada ho visto e mangiato un po’ di pesce fresco (anche se persino quello al mercato sul porto non sembrava proprio freschissimo, almeno non come quello che vedo nei mercati di Italia e Spagna). Nel porto c’erano moltissime navi di pescatori attraccate, però la mattina ne vedevo uscire per mare solo due o tre, le altre tutte ferme. La “scena” culinaria non mi è sembrata sensazionale, anche se è proprio a Ensenada che ho avuto sia il miglior caffè che la migliore cena di tutti i due mesi e mezzo di questo viaggio. Per pura casualità, il caffè era in un bar italiano e la cena era in un ristorante italiano.

Per le strade ho notato alcune particolarità, la prima piuttosto curiosa è che molte farmacie pubblicizzavano con una certa enfasi che vendevano Viagra. Mi chiedo se è perché gli uomini da queste parti sono particolarmente concentrati sul sesso, o se la vendita si rivolge ai turisti americani che magari possono comprare il farmaco a prezzi più bassi. Ho notato anche un numero grande e decisamente inusuale di cartelli “cercasi personale”, da parte di negozietti sia nella cittadina che nei dintorni. L’ho trovato strano considerato che l’economia della zona è visibilmente tutt’altro che “in fermento”. Mi viene da pensare che si tratti di lavori in cui pagano una tale miseria, che per molte persone del posto sia praticamente indifferente averli o meno.

Tra le cose che ho scoperto in questo viaggio ci sono gli show televisivi messicani. Sono davvero… degni di nota! Qualcosa che mi ha lasciato a bocca aperta davanti alla tv: affascinato e inorridito allo stesso tempo. Le parole “trash” e “agghiaccianti” non riescono nemmeno a rendere l’idea di cosa trasmettono da queste parti.

Apparentemente il concetto di intrattenimento negli show messicani è un gruppone di persone buttate dentro uno studio televisivo, con travestimenti grotteschi, che ballano, si fanno sgambetti, si danno pizzichi sulle braccia, si mettono elastici sulla faccia mentre fanno il karaoke, ammiccano, ondeggiano, con la telecamera che si sposta da una persona all’altra, sul sottofondo di musica allegra. In effetti uno dei miei amici mi ha fatto notare che uno dei personaggi del cartone i Simpson, l’uomo-ape, è proprio la caricatura di uno dei personaggi di questi show messicani. Sono rimasto comunque abbastanza sconvolto: giuro che non mi lamenterò più degli show spazzatura italiani, il peggiore dei quali trasmette comunque altissima filosofia rispetto a quelli messicani!


Note: Qualche tempo fa l’articolo “10 ragioni per non avere un lavoro” l’ho rielaborato in forma personale, producendo una versione in italiano che si trova a questo link.

Relativi: Trollati dai balcani

Trollati dai Balcani

Ho passato buona parte degli ultimi due mesi in viaggio, di cui alcune settimane nei Balcani, che ho deciso di raccontare in questo articolo. A me e ai due amici con cui viaggiavo incuriosiva questa parte di Europa, che ci aspettavamo essere la più autentica e “diversa” rispetto all’ Europa con cui siamo familiari.

Non siamo certo rimasti insoddisfatti: il risultato è stato un viaggio molto interessante, anche se francamente ho visto alcuni tra i posti più assurdi della mia vita. In effetti spesso durante il viaggio scherzavamo dicendo di subire continuamente un trolling da parte dei Balcani, che ci presentavano davanti agli occhi degli scenari così strani e inspiegabili che rimanevamo incerti e con la sensazione “che cosa cavolo stiamo vedendo?”.

Questo è il video che ho prodotto, che contiene alcune delle cose viste nei paesi in cui sono stato: Albania, Grecia, Macedonia, Serbia, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Croazia.

Impressioni generali avute durante il viaggio

C’è una quantità impressionante di terreni inutilizzati in questi paesi, che non vengono coltivati né dati al pascolo. È sorprendente pensare che molte persone si uccidono per vivere in aree aride del medio oriente, mentre qui nei Balcani c’è così tanta terra fertile che nessuno utilizza. La poca agricoltura e pastorizia spesso si traducono in cibo di qualità che va da “ok” a “agghiacciante”.

Ho percepito una vibrazione generale di oblio e assopimento, mischiati a un certo disinteresse per l’ambiente e le persone intorno, che specie nei Balcani dell’entroterra producono quartieri pazzescamente disordinati, traffico caotico, file venditori di strada e di negozi che offrono tutti gli stessi prodotti (vuoti, e che non so come vadano avanti).

Nonostante qua e là ci siano delle chiese dalle proporzioni deliziose, alcune delle quali appaiono in questo video, manca tantissimo il senso dell’ estetica e dell’arte. La differenza, per me che vengo dall’Italia, è davvero drammatica. Ho visto intere città in cui l’idea di abbellire un quartiere con una fontana o un giardino sembra non essere mai stata presa in considerazione.

In compenso le persone mi sono sembrate ovunque piuttosto amichevoli, e tutti questi paesi mi hanno dato l’impressione di essere sicuri, in cui crimini di strada e rapine sono eventi poco comuni. Inoltre, anche se attualmente proprio non vorrei viverci stabilmente, nei Balcani ci ho visto tanto potenziale: chissà come si trasformeranno in futuro?

Impressioni specifiche sui singoli paesi

Albania: un paese tanto, ma tanto strano. La cosa più inspiegabile sono le migliaia (tante migliaia) di edifici incompiuti sparsi ovunque, costruiti senza alcun criterio. Non credo esista il concetto di piano regolatore in Albania. Vedi un grattacielo di trenta piani senza finestre -abbandonato- accanto a un distributore di benzina -abbandonato- accanto a cinque palazzetti multicolor a schiera diroccati -abbandonati-, accanto a una villa stile impero romano senza finestre -abbandonata-.

Ci sono moschee sparse qua e là nelle aree industriali, nelle campagne, sui monti, che è difficile immaginare che vengano mai raggiunte da qualcuno. Nelle campagne vedi bunker di cemento, scheletri di case che potrebbero essere abitate, ma con pupazzi di stoffa impiccati a una corda e penzolanti dai balconi. Nelle aree rurali si utilizzano molto gli asini per trasportare i materiali, di taglia piccola, come mini-asini. Nelle città, a sorpresa, le automobili sono piuttosto di alto livello, credo infatti di aver visto molti più suv a Durazzo e Tirana che a Roma.

Tra i migliori troll subiti dall’Albania: vedere due uomini giocare a carte su un tavolino improvvisato, vicino al bordo di un’autostrada e sotto il sole, nel mezzo assoluto del nulla e lontanissimi da qualunque paese o città, che ti chiedi: a) come hanno fatto ad arrivare lì che non sembrano avere la macchina b) ma perché sono lì c) perché stanno giocando a carte a un metro dal bordo strada, a rischio di essere travolti da un camion. Almeno mettetevi un po’ più scostati e all’ombra!

Grecia: in questo viaggio abbiamo visitato solo la parte nord della Grecia, che mi è sembrata depopolata e con un paesaggio piuttosto asciutto. Le città in cui sono stato, ad esempio Ioannina e Kastoria, mi hanno lasciato l’impressione di assopimento di cui scrivevo sopra, di non possedere carisma. Salonicco, molto più grande, è senz’altro più animata, ma troppo turistica e caotica per i miei gusti.

Una cosa che mi ha un po’ sorpreso è che dovunque, soprattutto nei paesini meno conosciuti e più isolati, non sembrano esserci edifici antichi. Io sono abituato ai paesini pittoreschi dell’Italia, pieni di castelli, torri, costruzioni in pietra e dall’aspetto medievale. Nel nord della Grecia invece non ho visto nessun paese che tradisse una lunga storia. Molti piccoli paesi sono semplicemente gruppi di case dall’aspetto che definirei “normale”: con facciate in cemento, costruiti di recente. E le case antiche dove sono andate a finire?

Sorprendentemente, almeno per quanto mi aspettavo considerando i precedenti viaggi ad Atene, non è stato facile trovare cibo di qualità nel nord della Grecia. Nei supermercati c’era una predominanza di alimenti processati, e poco pesce fresco. Anche trovare un ristorante dove consumare un vero pasto è stato difficile. Ad Ioannina ad esempio sembra esserci solo una marea di caffè-bar, dove servono bevande e snack, ma pochissimi ristoranti.

Misteri: nelle campagne abbiamo notato qua e là piccoli campi di tabacco e di cotone. Che senso ha avere produzioni così piccole? Il tabacco magari viene rivenduto di contrabbando, ma il cotone? Un altro mistero è il numero esagerato di farmacie. In un paesino con piccolissima popolazione ne abbiamo contate cinque, quasi una accanto all’altra.

Macedonia: dopo l’intervallo di “normalità” nel nord della Grecia, che è comunque vicina all’Europa con cui sono familiare, il trolling è entrato nel vivo in Macedonia. È qui che ho visto alcune tra le scene più strane dei Balcani.

La maniera assurda di indirizzare i cavi elettrici negli edifici, di cui avevo comunque avuto già un assaggio in Albania: grossi grumi di cavi appesi in cima ai pali, da cui partono ragnatele in tutte le direzioni. Mi chiedo: se c’è un guasto ad uno dei cavi, come fa l’operaio a individuarlo in quel casino? Di nuovo ho visto tanti edifici incompiuti ed inutilizzati (ma non tanti quanti in Albania) e un’architettura dallo stile incredibilmente disomogeneo.

Una cosa curiosa è che più volte ho osservato le persone cercando di individuare quali fossero i tratti tipici della gente della Macedonia, e non ci sono riuscito affatto. In Albania, ad esempio, avevo trovato un certo schema ricorrente nelle strutture facciali. In Macedonia invece sono stato in un paio di città in cui, per quanto mi sforzassi, non c’è stato verso, finché mi sono dovuto arrendere all’evidenza: tutti sembravano avere tratti completamente diversi da tutti.

In Macedonia ho visto uno dei livelli più alti di oblio rispetto all’estetica (rimarrà alla storia la visita in una galleria d’arte contenente poster “artistici” che ho commentato -pure con arroganza- di poter scarabocchiare anch’io con la penna, magari mentre sono al telefono a chiacchierare) e al “concetto” di cibo. La qualità di frutta e verdura mi è sembrata ok, il problema è stato reperire le proteine: mancanza di pesce fresco ovunque (comunque giustificabile per un paese dell’entroterra) e soprattutto di carne di buona qualità (c’è tantissima carne processata e prevalentemente di maiale). Non ho mai notato cibo biologico nei supermercati in cui sono entrato.

Serbia: della Serbia ho visto pochissimo, abbiamo appena fatto un’incursione di qualche ora in macchina, nel sud, incontrando qualche villaggio piccolissimo sulla strada e fino a raggiungere la cittadina di Vranje, che ha molto vagamente l’aspetto di una cittadina di montagna del nord Italia. Non ho visto abbastanza comunque per poter notare particolari differenze rispetto ai paesi confinanti dei Balcani.

Kosovo: siamo entrati dal sud del paese e abbiamo guidato lungo tutto lo stradone che conduce alla capitale, Pristina. Inizialmente il Kosovo ci ha illusi con un paesaggio pieno di verde e natura, ma lo scenario si è velocemente trasformato: i bordi della strada hanno cominciato a popolarsi di negozi di grandi dimensioni: rivenditori di automobili, rivenditori di materiale edile, ristoranti. Una catena ininterrotta di attività commerciali, fino alla capitale, che rallenta decisamente il traffico. Tutti questi negozi mi davano comunque l’idea di non avere assolutamente clienti, eppure erano lì: aperti.

La scena si è ripetuta in città, a Pristina: una quantità impressionante di negozi di qualunque tipo, da centri estetici a rivenditori di elettronica, che sembravano sempre e per la maggior parte senza clienti. Non mi spiegavo perché li avessero aperti e come andassero avanti.

Pristina stessa ha un’architettura selvaggia: grattacieli mischiati a moschee mischiate a caserme di cemento. Anche qui i grumi di cavi elettrici campeggiano ovunque. È stato interessante scoprire che il centro è pattugliato da soldati americani, per lo più ragazzi ventenni inconsapevoli e con l’attitudine “stiamo salvando il mondo”. In realtà, dal poco che so della storia del paese, deduco che vengano tenuti lì a passeggiare dall’America come monito, dopo che il Kosovo è stato sottratto alla Serbia.

Da segnalare, ancora riguardo le attività commerciali, una particolare ossessione per gli autolavaggi, visti ovunque, anche nelle campagne più sperdute, ma di cui molti abbandonati da tempo. Anche in Kosovo ho visto molti edifici incompiuti e inutilizzati. Situazione cibo simile alla Macedonia: frutta e verdura ok ed economiche, ma tantissimo cibo processato, zero pesce fresco e carne per lo più industriale. Livello di trolling generale, comunque: altissimo.

Montenegro: secondo le statistiche la popolazione del Montenegro è tra le più alte del mondo. Curiosamente, appena arrivati nel primo paesino della zona più interna e montagnosa, abbiamo constatato subito che davvero tutti sembravano più alti. Ne abbiamo avuto conferma anche in seguito, guardandoci intorno nella capitale (Podgorica) e nelle zone costiere: per qualche motivo la popolazione montenegrina è decisamente alta.

Dopo il trolling estremo subito da Albania, Macedonia e Kosovo, la sensazione che ho avuto entrando in Montenegro è stata di un -parziale- ritorno alla normalità. Anche se in effetti avrei potuto sospettarlo dal nome, o fare un minimo di ricerca prima, ho scoperto che il Montenegro è quasi totalmente montagnoso, e montagne anche molto alte. È gia sulle montagne che la qualità del cibo ha fatto un piccolo passo avanti: nei supermercati si cominciavano a trovare prodotti salutari, fino ad arrivare alle coste dove è finalmente apparso un po’ di pesce fresco (seppure meno di frequente e meno economico di quanto si sperava).

Ci sono dei bei posti sulla costa, ovviamente non quelli ormai già rovinati dal turismo di massa come Cattaro e Budua, ma in generale mi hanno dato la sensazione di mancare carattere e di essere un po’ “spenti”. Il Montenegro è un’altro di quei posti che mi ha trasmesso una vibrazione generale di assopimento.

Bosnia-Erzegovina: anche in questo paese abbiamo fatto solo un’incursione in macchina di qualche ora. L’area che abbiamo attraversato è proprio una di quelle che maggiormente mi ha fatto venire il pensiero “guarda quanta terra libera”. Ho visto interi altipiani senza la minima traccia di presenza umana.

Fuori dalle cittadine, ancora una volta, ho notato la quasi totale assenza di agricoltura e pastorizia. Nei pochi campi coltivati ho visto più che altro il tabacco, che avevo notato spesso anche in Grecia.

Croazia: la Croazia era diventata una destinazione turistica molto popolare circa venti anni fa, perché economica e con un mare molto bello. L’impressione che ho avuto in questo viaggio è che la situazione sia un po’ cambiata: la costa è ancora bellissima, ma temo che il turismo abbia eroso il fascino di diversi posti.

È a Ragusa, nonostante il bellissimo panorama che ho ripreso nel mio video, che ho visto la fase finale, e più estrema, degli effetti del turismo di massa: file di club, ristoranti “per turisti”, negozi di souvenir, e turisti sonnambuli a girovagare nel mezzo. Ben distante dal mio desiderio di vedere luoghi autentici, ma decisamente interessante da vedere dal punto di vista “antropologico”, come ha commentato uno dei miei amici.

Dai pochi giorni che ci ho trascorso in questo viaggio, la Croazia mi ha trasmesso una vibrazione simile a quella del Montenegro: bella, bellissima in alcuni punti, ma al netto del ronzio turistico un pochino spenta, e carente carisma.


Note: ho appreso che i pupazzi appesi ai balconi dell’Albania sono dei “dordolec” (spaventapasseri), che secondo la credenza popolare servono a proteggere la casa, la famiglia e gli animali dal malocchio e dall’invidia.

Roma vs Barcellona

Ormai posso dire di conoscere piuttosto bene sia Roma che Barcellona, per cui voglio scrivere alcune mie osservazioni sulle due città facendo un confronto. Purtroppo per lei, ve lo anticipo subito, Roma prenderà qualche sonora bastonata

In generale, di Barcellona posso confermare quanto dissi nel 2003, quando la visitai per la prima volta: è sicuramente bella, però non ha granché di speciale, se non altro in termini di monumenti, arte, scultura. Questo vale naturalmente prendendo come riferimento Roma, che ha una quantità di posti così incredibilmente straordinari che ti lasciano davvero senza fiato.

A Roma ci sono san Pietro con la cappella Sistina, piazza Navona con le sue meravigliose fontane, la piazzetta del Pantheon con le luci soffuse la sera, fontana di Trevi, e chi più ne ha più ne metta. Fai una passeggiata in centro, e ogni cento metri ti trovi davanti qualcosa di stellare. La più umile, semi-nascosta fontanella nella nicchia di un palazzo merita almeno qualche foto.

Barcellona non si può nemmeno accostare. Il monumento più famoso è la Sagrada Familia, che è sicuramente notevole, ma che però mi deluse già un pochetto la prima volta, con tutte quelle impalcature da lavori in corso. La Rambla, famosissima via in centro in cui c’è un continuo fiume di gente che cammina su e giù, in realtà è una via normalissima. Piena di negozi, ristoranti, artisti di strada, certo. Ma è una via normalissima.

Cos’ altro c’è a Barcellona? Piazza Catalunya e piazza Espanya, il palazzo nazionale, i giardini del Montjuic, il quartiere gotico, le statue di Gaudí, le spiagge. Tutto molto bello, eppure mancano i monumenti davvero memorabili, non ci sono tanti punti di interesse con l’ x-factor quanti ce ne sono a Roma.

Secondo me esiste quindi un mistero: come riesce Barcellona a reggere così bene il confronto con Roma nelle classifiche dei flussi turistici in Europa?

Ho fatto qualche ricerca e parecchie fonti indicano Londra e Parigi come prime due mete turistiche in Europa occidentale, seguite al terzo posto da Roma e al quarto da Barcellona. Mi è difficile trovare statistiche sicure e aggiornate, ma visto che spesso sono lì di persona, posso senz’ altro confermare un fatto indiscutibile: Barcellona ha un flusso turistico di proporzioni impressionanti, tutto l’ anno.

Ho l’idea che questo flusso, che tutto sommato non è giustificato da tanti monumenti particolarmente spettacolari, è giustificato in realtà da una serie di altri punti di forza che Barcellona ha saputo sviluppare, e che le garantiscono il successo che sta avendo. Vediamo quali sono, evidenziando le differenze che ci sono rispetto a Roma.

Innanzitutto: il talento dell’amministrazione

Barcellona, oggi, è amministrata da gente capace. Quel “poco” che hanno, lo sanno valorizzare e vendere bene. Ma soprattutto, laddove manca qualcosa, ci pensano loro ad aggiungerlo: in termini di attrazioni turistiche, ma anche in termini di eventi.

Un esempio di attrazione turistica creata sulla base del (quasi) nulla è la fontana magica. Si tratta di uno spettacolo di acqua, musica e luci fatto davanti al palazzo nazionale, di sera, nei weekend. La fontana usata per creare lo spettacolo è molto grande, ma la sua architettura è francamente modesta. Eppure, proprio partendo da una fontana così modesta, hanno saputo creare uno spettacolo molto suggestivo e che rappresenta certamente un’ attrazione per i turisti.

Sul fronte della capacità di creare eventi, invece, un ottimo esempio è il Mobile World Congress. Questa enorme fiera tecnologica, riguardante l’evoluzione di internet e comunicazioni mobili, ha acquisito ormai una rilevanza mondiale. All’ ultima edizione sono intervenuti i leader di molte delle aziende più influenti al mondo, tra cui Zuckerberg di Facebook e Wales di Wikipedia. La quantità di risorse che questo evento fa convergere verso Barcellona è davvero enorme.

Mi vengono in mente molti altri esempi da aggiungere a entrambe le categorie, ma voglio evitare di fare un elenco. In generale, trovo che Barcellona abbia un certo talento nel trasformare “quartieri normali”, in cui non ci sono né opere di Michelangelo né antiche rovine, in “quartieri interessanti”, grazie alla sapiente aggiunta di un mercatino, un’ installazione moderna, un giardino, un’ esposizione.

Non vedo la stessa abilità in Roma.

La nostra capitale è seduta su una miniera d’oro lasciatale dalle generazioni passate, ma oggi ha un’amministrazione talmente incapace/corrotta che non sa sfruttare questa miniera.

Io faccio spesso passeggiate nel centro di Roma, e ogni volta rimango stregato dalla sua bellezza. Non solo quella dei monumenti più famosi: a volte gironzolo a caso e mi ritrovo a entrare in chiese sconosciute, mai sentite nominare prima, e dentro ci scopro mosaici, dipinti, intarsi, cose straordinarie. Cose alla cui creazione, mi rendo conto, gli autori hanno dedicato anni ed anni della loro vita.

Eppure, quasi sempre di ritorno da queste passeggiate, tiro le somme e constato che praticamente tutto ciò di bello che ho ammirato, tutto ciò intorno cui erano ammassati i turisti, sono cose arrivate dal passato, create dalla civiltà antica. Templi dell’antico impero romano, chiese del rinascimento, palazzetti medievali…

e la Roma moderna che cosa sta aggiungendo a questo patrimonio? Troppo poco, direi. Quasi niente. Per lo più sta campando grazie a quegli antichi tesori, ma senza aggiungere alcun contributo degno di nota. Questo, naturalmente, non tenendo in conto “meraviglie” dai costi esorbitanti come la nuvola di Fuksas.

E sul fronte eventi, mentre Barcellona sceglie di concentrarsi sullo sviluppo tecnologico con il Mobile World Congress, Roma si prepara in questo periodo a ricevere i fedeli per un “giubileo extra” indetto dal Vaticano, ovvero l’evento di una religione centrata su Gesù Cristo, personaggio che con molte probabilità non è nemmeno mai esistito storicamente.

Comunque, tutto sommato, uno potrebbe anche pensare che considerate quante cose ci sono già, Roma se lo può anche permettere di sedersi sugli allori, e può limitarsi semplicemente a gestire l’ esistente.

La gestione di quello che già c’è

Dal punto di vista strettamente turistico, secondo me Barcellona sa proteggere un po’ meglio i suoi monumenti di punta.

Ad esempio, non ho mai visto enormi schiere di venditori abusivi sulla Rambla, o nelle piazze principali. Ed intorno alla Sagrada Familia ci sono soprattutto negozi che -seppure a caro prezzo- vendono principalmente souvenir il cui tema è Gaudí o la Spagna.

A Roma la situazione è più selvaggia. A volte i suoi capolavori sono circondati da situazioni imbarazzanti: schiere di africani che vendono borse cinesi nella piazzetta del Pantheon, via dei Fori invasa da venditori di aste telescopiche per fotografie selfie, fontana di Trevi assediata da fotografi pakistani, mischiati tra i turisti e muniti di polaroid, che fanno foto alle coppie chiedendo poi cinque/dieci euro.

Queste situazioni al contorno, che inevitabilmente diminuiscono il fascino dei monumenti, non sono altrettando comuni a Barcellona perché probabilmente c’è un controllo più rigoroso e una minore tolleranza al degrado.

Poi ci sono gli aspetti meno strettamente turistici, come la gestione di trasporti e la pulizia stradale. Questi sono aspetti che influiscono molto sulla qualità della vita dei residenti, ma naturalmente impattano anche l’esperienza della città che hanno i turisti. Anche in questo caso, secondo me, la spunta Barcellona.

Le metropolitane sono un po’ più pulite e affidabili. Non ho mai visto tanti bus stracolmi, con i passeggeri pigiati come sardine, quanti ne ho visti a Roma. I tassisti abusivi non mancano neanche lì, ma almeno a Barcellona non sono sfacciati come quelli romani, che piantonano la zona arrivi dell’ aereoporto. E poi, differenza importante, l’amministrazione di Barcellona investe su un mezzo semplice eppure cruciale per diminuire il traffico: le bici.

Bici pubbliche e traffico

Barcellona ha un sistema di bici pubbliche da applausi.

Ci sono stazioni ovunque, basta passare una tessera sul lettore magnetico per prendere una bici, da riconsegnare poi alla stazione di arrivo. I costi sono bassissimi e la manutenzione delle bici è ottima. La qualità del servizio è alta per cui tantissime persone lo usano (me incluso), e questo contribuisce parecchio a ridurre il traffico.

Roma non ha ancora niente di simile, il che è sorprendente considerato quanto questo semplice mezzo potrebbe migliorare la viabilità della città. E c’è parecchio da migliorare, dato che il traffico nella nostra capitale è un problema gigantesco.

A Roma vige la regola che se prendi la macchina “sai quando parti ma non sai quando arrivi“. Di questo è certamente responsabile l’amministrazione, in buona parte, pur considerando l’attenuante che Roma ha una geografia e delle dimensioni più ostiche rispetto a Barcellona. Ma di questo sono responsabili anche i cittadini romani stessi, con i loro comportamenti.

A Roma, per dirne uno, parcheggiare in doppia fila rientra molto di più nell’ambito della “normalità”. Questa è un’ abitudine davvero odiosa che vedo raramente a Barcellona.

Rifacimenti stradali ovunque

Di tanto in tanto a Barcellona ho l’opportunità di vedere non solo il centro città, ma anche diversi quartieri periferici. E un po’ dovunque vedo lavori in corso per migliorare il suolo stradale, rifare i marciapiedi, mantenere i giardini.

Non mi illudo che anche a Barcellona una parte consistente dei soldi -quelli che l’amministrazione ottiene da tasse e turismo- non venga inghiottita dalla corruzione, eppure l’impressione è che una frazione di risorse un poco maggiore rispetto a Roma venga reimpiegata nella manutenzione della città.

Diversi dei quartieri meno centrali di Barcellona mi sembrano, tutto sommato, decisamente puliti e vivibili. Non ho la stessa impressione a Roma, dove già allontanandosi poche fermate di metro dal centro appare qualche segno di degrado.

Che succede, ad esempio, se metto a confronto due quartieri residenziali e non-centrali che conosco bene in entrambe le città, Poblenou a Barcellona e Garbatella a Roma?

Poblenou è pulito, i giardini ben curati, non ci sono abusivi sui marciapiedi, l’area dietro il lungomare è attrezzata con percorsi per fare peripezie con biciclette e pattini (molto popolare tra i giovani tra l’altro, un altro esempio di come creare un’ attrazione dal nulla, con un po’ di cemento). In questo periodo, a Poblenou ci sono in rifacimento tutta l’area dietro il litorale e lo stradone principale.

A Garbatella, invece, per camminare devi fare la gimcana tra bancarelle abusive e auto parcheggiate ovunque: sulle strisce pedonali, davanti ai cassonetti, sui marciapiedi. Il parcheggio in doppia fila è uno sport che si pratica tutti i giorni, tutto il giorno. Le strade sono leggermente più sporche e i giardini hanno spesso l’erba alta. In questo periodo, a Garbatella non mi viene in mente alcun lavoro di manutenzione degno di nota.

Penso a diversi altri quartieri delle due città per i quali, ripetendo il confronto, otterrei un esito simile a favore dei quartieri di Barcellona.

X-factor concentrato vs x-factor diluito

In termini di architettura, tra Roma e Barcellona esiste una netta differenza.

La caratteristica di Roma è che la sua bellezza è concentrata in punti. Il centro della città è tempestato di gioielli: statue, obelischi, chiese, fontane, piazze. E come ho scritto sopra, Barcellona questi gioielli non ce li ha di certo, non della stessa fattura almeno.

C’è da notare però che Barcellona ha una bellezza più diluita in tutta la città. Non ci sono piazzette che possiedono lo stesso carisma delle piazzette romane, però in compenso ci sono interi quartieri, anche in zone fuori dal centro turistico, in cui le facciate dei semplici palazzi residenziali sono molto belle, decisamente degne di nota.

A Barcellona l’hanno fatto nel passato e vedo che continuano a farlo nel presente: quando si costruisce o si restaura un edificio, quando se ne intonaca la facciata, vengono spesso incorporati rilievi con motivi floreali, riccioli, mosaici. I balconi delle abitazioni della gente “comune” poggiano spesso su bellissimi capitelli.

Questo a Roma non viene proprio fatto. A Roma, fuori dal centro, sembra che moltissime abitazioni che sono “semplicemente residenziali” non vengano mai considerate degne di venir trasformate in un qualcosa di bello. Si fanno facciate piatte, con al massimo dei mattoncini, si aggiungono gli elementi essenziali, e basta. Il risultato è che nella nostra capitale ci sono parecchie zone con edifici che oscillano tra l’ “insignificante” e il “deprimente”.

Eppure non credo che ci vorrebbe un enorme sforzo di fantasia, o di soldi, per rendere le facciate dei palazzi più interessanti.

“Ok. In questo confronto non stai glorificando un po’ troppo Barcellona?”

Naturalmente, è assolutamente vero che anche Barcellona ha i suoi bei problemi, molti dei quali in comune con Roma.

Visto però che esiste il luogo comune secondo cui “la Spagna è simile all’Italia” e “gli Spagnoli sono un po’ come gli Italiani“, ecco ci tengo a precisare che secondo me no, non è del tutto vero: almeno prendendo come riferimento Roma e Barcellona, a me sembra che a Barcellona le cose vadano un pochino meglio.

Naturalmente, anche Barcellona soffre la presenza dei circhi moderni che distraggono la gente (lavori d’ufficio improduttivi, banche, consumismo), quindi non è che la l’amministrazione e la popolazione siano composte da molti più intellettuali, scienziati e artisti, in grado di riempire la città di meraviglie a ritmi velocissimi.

Dubito che vedremo apparire presto a Barcellona nuove opere d’arte al livello delle opere di Gaudí, così come dubito che vedremo apparire presto a Roma costruzioni gloriose al livello delle costruzioni dell’antico impero.

Eppure la mia sensazione è che, anche se le due città sono inserite in un contesto globale simile, la Barcellona moderna stia usando i mezzi a disposizione in maniera più intelligente rispetto alla Roma moderna, riuscendo nonostante tutto ad aggiungere più valore alla città anche in questo periodo, e riuscendo a gestire meglio il valore preesistente della città.

Io credo che sia questo talento il responsabile del successo turistico di Barcellona, e che sia anche il motivo per cui, secondo me, nella capitale catalana anche i residenti hanno una qualità della vita piuttosto alta.

Roma oggi è una città meravigliosa, Roma è una ricchissima ereditiera, ma io credo che abbia diverse cose da imparare dall’ attitudine della meno fortunata Barcelona. Speriamo che ci riesca.